Soffocati come siamo dalla narrazione mainstream all’insegna di vittimismo e retorica allarmista, volgari pregiudizi e stupidi stereotipi di genere, il racconto di Megan Thowey – “Una nuova battaglia per chi è impegnato contro il coronavirus: la custodia dei figli” – pubblicato sul New York Times è una boccata d’ossigeno – oltre che una lezione di giornalismo e non solo – sin dal titolo.

La pandemia ha indubbiamente aumentato la preoccupazione di molti genitori per possibili ricadute sulla salute dei figli legate al loro lavoro: ci sono tanti modi per viver queste preoccupazioni, ma soprattutto di raccontarle all’opinione pubblica.

E la differenza non è di poco conto per chi voglia fare vera informazione.

Non è infatti solo una questione di formale equilibrismo – due casi in cui, a parti invertite, si contendono i figli a colpi di ordinanze immediatamente emesse, contestate o revocate – ma di una descrizione rigorosa e puntuale delle vicende dove, la terzietà della giornalista, arriva al punto di dar conto della scelta di non rilasciare commenti da parte di uno dei genitori coinvolti senza che traspaia alcun giudizio di valore secondo la prima e fondamentale regola del buon giornalismo: separare i fatti dalle opinioni.

Praticamente tutto quello che manca al giornalismo italiano, incapace di trattare il tema con il distacco necessario a far comprendere quanto trasversale all’intera società sia il problema e quanto deleterio sia un approccio manicheo, o peggio, divisivo.

Che non significa che il tema non sia controverso ma che non c’è alcun atteggiamento strumentale o finalità di delegittimazione politica delle varie posizioni in campo ma la volontà di riflettere sulla sostanza delle cose e trovare soluzioni adeguate ai problemi.

Dal racconto emerge una visione sinceramente puerocentrica ed una cultura degli interessi del minore che non può che destare ammirazione se si pensa che parliamo pur sempre di uno dei pochissimi paesi al mondo che non ha sottoscritto la Convenzione di New York sui diritti dei Fanciulli ma non per questo non sappia in cosa essi consistano, come si difendano e come di promuovano in concreto.

Altro che le volgarità viste in certe trasmissioni televisive della tv di stato ai tempi del defunto ddl Pillon, dove addirittura è stata fatta passare l’idea che la bigenitorialità sia nociva alla salute fisica stessa dei figli.

Per non parlare della magistratura che si premura addirittura di scrivere lettere aperte per sollecitare comportamenti collaborativi e responsabili e che quando decide tiene la barra dritta sui principi cardine di ogni democrazia liberale a partire da quello per cui tutti i genitori sono uguali davanti alla legge anche al tempo del coronavirus e non esistono presunti untori come vorrebbe la Commissione sul Femminicidio.

E con questo possiamo tornare a respirare l’aria infetta di questo sfortunato belpaese.