Se non fosse per la grave intromissione nel #casoMassaro ( a proposito, aspettiamo sempre risposta alle nostre domande) e la mistificazione della sua verità, ci sarebbe da ringraziare l’On.le Veronica Giannone.

In un solo colpo è stata capace di far conoscere a tutti il reale andamento dei fatti, far venire fuori gli istinti primordiali e gli interessi economici che stanno dietro le polemiche sulla legge 54/06, rianimare il dibattito sulla riforma dell’affido condiviso e dimostrare che l’alienazione parentale esiste ed è figlia delle strumentalizzazioni del sistema rese possibili dalla mancanza di coraggio dei giudici.

Il tutto negli stessi giorni in cui, ancora una volta, la CEDU condannava l’Italia per violazione dell’art. 8 della Convenzione per non aver saputo difendere i diritti di una figlia e di un padre da chi, secondo il consueto copione, per anni si era inventata accuse insistenti di abusi sessuali, rifiutato di osservare i provvedimenti di tribunali e corte d’appello, negato ogni forma di collaborazione con i servizi sociali.

Un autogol da Almanacco del Calcio Mondiale.

Con buona pace della Corte d’Appello di Roma, la CEDU ha ricordato che “una mancanza di collaborazione tra i genitori separati non può dispensare le autorità competenti dal mettere in atto tutti i mezzi che possano permettere il mantenimento del legame famigliare” (CEDU, 5 dicembre 2019, Luzi c. Italia).

Ma soprattutto censurato il fatto che “i giudici interni non abbiano adottato, fin dall’inizio della separazione dei genitori, quando la minore aveva solo un anno di età, delle misure concrete e utili volte a instaurare dei contatti effettivi e hanno successivamente tollerato per circa otto anni che la madre, con il suo comportamento, impedisse che si instaurasse una vera e propria relazione tra il ricorrente e la figlia. La Corte rileva che dallo svolgimento del procedimento dinanzi al tribunale emerge piuttosto una serie di misure automatiche e stereotipate, quali le successive richieste di informazioni, una delega ai servizi sociali del controllo successivo, con l’obbligo per gli stessi di organizzare e di far rispettare il diritto di visita del ricorrente (Lombardo, sopra citata § 92, e Piazzi, sopra citata, § 61), un programma di sostegno alla genitorialità e degli ammonimenti a J.B. che, nel caso di specie, non hanno avuto alcun effetto. I servizi sociali, da parte loro, non hanno correttamente eseguito le decisioni giudiziarie. Ora, sebbene gli strumenti giuridici previsti dal diritto italiano sembrino sufficienti, secondo la Corte, per permettere allo Stato convenuto di garantire il rispetto degli obblighi positivi derivanti per quest’ultimo dall’articolo 8 della Convenzione, si deve constatare nella presente causa che le autorità non hanno intrapreso alcuna azione nei confronti di J.B. La Corte, perciò, ritiene che le autorità abbiano lasciato che si consolidasse una situazione di fatto generata dall’inosservanza delle decisioni giudiziarie”.

Appare evidente che, al di la delle Alpi, non ci sia spazio per don Abbondio.

E neanche per chi non sa ciò di cui parla o racconta frottole.

Chiedere è lecito, rispondere è cortesia.
Nel “caso Massaro” però è un dovere.

Dieci domande all’On.le Veronica Giannone.

1) È vero che voleva presenziare alla discussione del “caso Massaro” dinanzi alla Corte d’Appello di Roma?

2) Quali violazioni avevano commesso i giudici del Tribunale dei minori di Roma che stavano trattando il caso Massaro contro cui ha chiesto di mandare gli ispettori il 30 settembre?

3) I figli di genitori separati hanno gli stessi diritti di quelli conviventi?

4) In caso di separazione, un figlio ha diritto di trascorrere lo stesso tempo con entrambi i genitori?

5) Una mamma deve rispettare il diritto del figlio a frequentare il papà in caso di separazione?

6) Affiderebbe mai un bambino ad una mamma che lo maltratta regolarmente?

7) Che differenza c’è tra violenza fisica, violenza morale o psicologica?

8) In caso di violenza domestica, le vittime vanno sempre tutte credute o questa regola dovrebbe valere solo per le donne?

9) La scienza è libera oppure la politica deve decidere cosa è scienza e cosa no?

10) L’Italia deve rispettare la CEDU?

Prima di andare via rivolgeva sempre uno sguardo al padre. Quante volte abbiamo vissuto o ascoltato di scene simili? Cosa avrà pensato del padre? E cosa avrà pensato della madre? Quale sarà stato il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi quella sera? Sono queste le domande che deve porsi chi voglia seriamente risolvere un problema di enorme rilevanza sociale. Cosa avrà provato quel bambino andando via da quella stanza? I sentimenti del bambino sono i parametri da utilizzare per misurare se una decisione corrisponde al suo interesse.

Tutto il resto sono solo paranoie e speculazioni degli adulti e distorto esercizio del proprio potere al fine di accondiscendere chi si autoproclama vittima senza esserlo.

Sono queste le domande che deve porsi chi voglia seriamente risolvere un problema di enorme rilevanza sociale. Non le volgari baggianate o frasi dei bigliettini dei Baci Perugina – che una retorica vuota e priva di ogni logica – continua a utilizzare per negare l’evidenza dei fatti e soddisfare l’egoismo insano degli adulti.

E’ ora di smetterla con la strumentalizzazione dei bambini e del potere che la Costituzione affida ai giudici.

La legge si interpreta. Non i fatti.

Ed i fatti e la scienza parlano in modo chiaro ed inequivoco: un figlio, ancor più se di tenerissima età, che senza motivo ha paura di un genitore è un figlio abusato da chi gli ha inculcato quella paura.

Chi vuole – per incapacità, arroganza, viltà o convenienza politica e professionale – che si continui ad abusare dei figli in questo modo ha precisi nomi e cognomi.

Se l’Italia fosse un paese serio, magari uno di quelli in cui un politico che mente viene immediatamente emarginato dalla vita pubblica e dalla professione, tutti coloro che hanno sciacallato sul tema della violenza familiare, e l’hanno brandito come una clava contro la riforma della legge 54 facendosene pure vanto, sarebbero già a nascondersi dalla vergogna.

Purtroppo non lo siamo e dobbiamo accontentarci di dire noi che il “Codice Rosso” di cui si sono tanto vantati non ha, e del resto non si vede come avrebbe potuto averlo vista la Costituzione, alcuna connotazione di genere e non contiene alcuna distinzione tra madri e padri, uomini e donne, maschi o femmine che sia.

Le loro trionfalistiche dichiarazioni sono solo pezzente propaganda elettorale sul dolore e la debolezza altrui, dilatata a dismisura dalla mancanza di una stampa degna di questo nome, che preferisce fare da cassa di risonanza della cattiva politica piuttosto che da cane da guardia della democrazia.

Politici e giornalisti di tale risma sono solo pupazzi che recitano una parte in una farsa senza spettatori, tale e tanta è la distanza dal paese reale: autoreferenzialità pura del tutto distaccata dal paese reale.

Un paese fatto di milioni di padri galantuomini e responsabili e di madri oneste lavoratrici che merita questa indecenza. Ed i primi a dirlo dobbiamo essere noi: il “Codice Rosso” è solo cultura manettara delle relazioni familiari buona a far aumentare le denunce e dare un miserabile contentino a quella vile opposizione che vive solo di conflitto e slogan senza senso. Altro che Convenzione di Istanbul.

Queste regole e questi diritti s’intersecano con i diritti di giudici, avvocati, cancellieri, ausiliari, forze dell’ordine e chiunque altro sia chiamato a far funzionare la macchina dei diritti.

La maggiore o minore quantità di questa moneta ha, però, conseguenze molto diverse tra un adulto ed un bambino.

Per un adulto, il tempo rende i diritti meno effettivi ma il ritardo può essere risarcito se causa un danno.

Per un bambino è diverso: il tempo dell’infanzia è unico ed ogni ritardo si trasforma in una ingiustizia definitiva che si porterà dietro per il resto della vita.

I codici di rito, con le loro aride regole, i diritti e i doveri delle parti, le loro facoltà e le loro preclusioni servono a realizzare i diritti dei cittadini.

Queste regole e questi diritti s’intersecano con i diritti di giudici, avvocati, cancellieri, ausiliari, forze dell’ordine e chiunque altro sia chiamato a far funzionare la macchina dei diritti.

Tutta questa complessità ha un costo che si paga con una moneta che è scolpita nella Costituzione ma che nessuna banca può stampare e si chiama effettività.

La maggiore o minore quantità di questa moneta ha, però, conseguenze molto diverse tra un adulto ed un bambino.

Per un adulto, il tempo rende i diritti meno effettivi ma il ritardo può essere risarcito se causa un danno.

Per un bambino è diverso: il tempo dell’infanzia è unico ed ogni ritardo si trasforma in una ingiustizia definitiva che si porterà dietro per il resto della vita.

Per questo una giustizia lenta, che si nasconde dietro l’ipocrisia del caso per caso è già da sola un danno ingiusto per un bambino.

Chi sta dalla parte dei bambini chiede regole chiare e regole di giudizio semplici e prevedibili perché sa che cavilli e speculazioni dialettiche da azzeccagarbugli da strapazzo rendono carta straccia i loro diritti ne mortificano la dignità.

Pensavo fossero ideali, invece era solo convenienza. Grazie Sen. Giulia Bongiorno. Grazie per la sincerità delle Sue parole sul ddl Pillon. Grazie soprattutto per aver reso chiaro a tutti quanto sia caduto in basso il livello del dibattito politico italiano: ideali e diritti alla stregua della propria convenienza momentanea.

Anche se si tratta di bambini. O di donne di cui si erge a paladina impavida.

Un’arida questione di calcolo e di opportunismo politico. Una totale assenza di ideali che non sia il proprio tornaconto. E nulla più.

Con buona pace di chi imbraccia il rosario tra un mojto e l’altro, o di chi usa i diritti civili come arma di distrazione di massa per nascondere politiche sociali draconiane.

Questo, e non altro, vogliono infatti dire le Sue parole: rivendicare un merito – se così può ritenersi – per evitare che qualcun altro possa appropriarsene al fine di nascondere il proprio fallimento.

Perché, come sapeva chiunque avesse un minimo di esperienza di procure e tribunali ed a dispetto della Sua tanto sbandierata competenza, il Suo tanto declamato Codice Rosso era uno strumento utile solo alla propaganda politica e nulla più.

E per questo è stato considerato prioritario, a tal punto da essere stato approvato dal Suo governo in un battito d’ali nel silenzio dell’opposizione che, difronte ad uno slogan così efficacemente commercializzato negli anni, non ha potuto far altro che abbozzare ed astenersi al momento del voto per paura di essere scavalcata.

E poiché il bluff è ormai venuto allo scoperto, era meglio trovare un modo per tirare a campare sulla pelle dei bambini che tirare le cuoia sulla pelle delle donne.

Ma c’è un ultimo – e fondamentale, per chi come noi vive ogni giorno sulla propria pelle il prezzo delle Sue convenienze politiche e professionali – ringraziamento che sentiamo di esprimerLe: grazie per aver ammesso che non esiste nessuna ragione di carattere giuridico o scientifico per non porre mano alla riforma dell’affido condiviso.

Perché, al pari di tanti altri demagoghi, non ha indicato una che fosse una ragione per non sanare una ferita che imputridisce da moltissimo tempo e lascia milioni di persone in balia delle ubbie del magistrato di turno, ad esclusivo vantaggio di chi ha interesse a continuare a considerare i bambini il premio di una lotteria e vive letteralmente dei conflitti dentro le famiglie.

Per questo non perderemo tempo a sfidarLa a confrontarsi con noi su questo tema o, men che meno, a chiederLe di incontrarci per spiegarLe perché quelle norme vanno cambiate: parleremmo due lingue diverse – noi quello dei diritti che non possono essere negoziati e Lei quello del cinismo – e sarebbe perciò del tutto inutile per entrambi.

La salutiamo con le parole di un maestro di cinismo la cui frequentazione non Le ha, evidentemente, giovato molto: “Non si dimentichi mai che si è eletti per operare; e non si opera per essere eletti. La confusione dei fini risulterebbe nefasta”.

Trent’anni. In realtà sono molti di più. Eppure i diritti dei bambini continuano ad essere negati ogni giorno. E non in paesi lontani o poveri, devastati da guerre e carestie. Ma nel nostro Belpaese.

Grazie ad ipocrisia e viltà, quello che fu la culla del diritto s’è trasformato nella tomba dei diritti. Dei bambini.

Artifici retorici privi di senso logico e banali luoghi comuni hanno creato un Moloch silenzioso quanto perverso ed efficace che nega ai figli di genitori separati il più elementare dei loro diritti: continuare a godere dei loro affetti più cari.

E non c’è convenzione, trattato o costituzione che tenga: in questo tribunale s’è sempre fatto così.

Non basta perciò cambiare gioco, occorre anche cambiare giocatori: è ora che gli spettatori scendano in campo e siano i veri ed unici protagonisti, senza concedere deleghe e senza ulteriori rinvii.

Perché non trascorrano più neanche trenta secondi invano.

Dopo qualche settimana torniamo in campo con una nuova veste grafica e, soprattutto, con uno strumento nuovo, e pensiamo più efficace, per portare avanti il processo di piena realizzazione dei diritti di figli e genitori.

E lo facciamo alla vigilia del nostro Congresso di Milano del 16 novembre dedicato ai trent’anni dell’approvazione della Convenzione di New York dal titolo quantomai significativo: “Carta dei Diritti o diritti di carta?”.

Parlando di diritti dei bambini, infatti, si fa presto a scadere nella retorica, e dalla retorica alla banalità il passo è breve. Per questo è importante fare un check up sullo stato di attuazione di un fondamentale strumento di civiltà giuridica, tanto declamato a parole quanto tradito nei fatti.

Un lavoro che, attraverso il sito proseguirà nel tempo grazie anche alla vostra collaborazione.

L’Auditorium sarà infatti il luogo dove faremo il punto della situazione, ma soprattutto ascolteremo e pubblicheremo le vostre storie e risponderemo ai vostri quesiti ed ai vostri dubbi, grazie ai nostri esperti.

Un grazie a chi ha reso possibile tutto ciò, e soprattutto un grazie a chi vorrà unirsi a noi, o anche semplicemente venirci a trovare, in quella che speriamo diventi la nuova casa dei diritti.