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ALTA CONFLITTUALITA’


Daniele M. – Alessandria

Era diverso tempo che il nostro rapporto si trascinava su continue discussioni, ogni scusa era buona perché lei potesse aggredirmi verbalmente, una volta per la sedia mal riposta, una volta per il letto non assettato come voleva, una volta perché arrivavo tardi dal lavoro. Ormai saturo da questa situazione ero arrivato al punto di chiedere ed ottenere la vendita della casa per poterci separare e dividere il ricavato della stessa.

La casa l’avevamo acquistata nel 2013, ricavando i soldi dalla vendita della mia e a della liquidità sua, ottenuta dal suo ex marito che, grazie a quella “buonuscita”, si era scrollato definitivamente di dosso l’assegno di mantenimento per lei.

La sera del 22 dicembre 2016, alle 22.15, rientrando a casa dal lavoro notavo la casa non illuminata. Chiamando la mia compagna e successivamente mia figlia non ottenevo risposta, quindi mi diressi al piano superiore. Solo a quel punto sbucarono da dietro un mobile mia figlia e sua cugina di due anni più grande, rispettivamente di 10 e 12 anni, si erano nascoste per farmi uno scherzo. Della mamma, mia figlia non seppe dirmi dove fosse, mi disse solo che era uscita da un po’. Sinceramente di chiamarla e chiederle dove fosse non ne avevo la minima intenzione e, dopo circa un’ora, accompagnai le bimbe a dormire nel lettone e io mi accomodai in quello di mia figlia. Verso le 04.30 di mattina mi svegliai per il rumore dei tacchi di lei e scendendo all’ingresso le chiesi dove fosse stata e se ritenesse una cosa normale lasciare due bambine da sole in casa. Mi rispose che non erano affari miei, che non doveva dar conto a me delle sue attività e che lei era uscita quando mi aveva sentito arrivare.

Passarono due giorni dove non le rivolsi la parola, io sarei andato a passare la vigilia di Natale dai miei e la signora dai suoi, portando con se nostra figlia.

Quella mattina entrai in bagno per farmi una doccia e, notando che i suoi capelli avevano ostruito lo scarico della doccia, le chiesi di toglierli. Mi aggredì verbalmente con una violenza tale che credetti stesse scherzando e, alla terza richiesta di smettere di offendere me e la mia famiglia, mi avvicinai a lei con un vaso di vetro raccolto dal tavolino, minacciando di romperglielo sulla testa se non avesse smesso. Tutto questo sotto gli occhi di nostra figlia che guardava terrorizzata.

Non solo non smise, ma mi diede una spinta alla quale reagii con una mano sulla bocca per farla smettere di offendermi e una spinta che la fece appoggiare con i polpacci sulla sponda del divano e farla sedere sullo stesso. A quel punto mia figlia prese il cordless, fece un numero di telefono e lo passò alla madre… risposero i carabinieri ai quali lei disse di essere vittima di un’aggressione e di intervenire. Non volevo credere a quello che stava succedendo e, in preda allo smarrimento andai dai vicini a raccontare l’accaduto e a chiedere consigli… mi consigliarono di andarmene di casa perché anche loro pensavano che lei stesse rovinandomi la vita e che avesse dei problemi.

Rientrai in casa e, senza dire una parola andai in camera da letto a prepararmi la valigia. Dopo circa mezz’ora arrivarono i carabinieri, che lei accolse singhiozzando e raccontando che l’avevo malmenata e che questo capitava spesso. Non volevo credere a quello che avevo sentito, scesi al piano di sotto e smentii assolutamente le accuse che mi aveva rivolto. Chiesero dove fosse la bambina (che all’arrivo dei carabinieri si era chiusa in bagno) e, dopo aver riscontrato l’inesistenza di segni di violenza verso la madre e verso mia figlia chiesero cosa volessimo fare… ”me ne vado, questa donna mi sta facendo impazzire” risposi e con la valigia in mano aprii la porta e uscii. “Nessuno la sta cacciando, è una decisione sua” mi disse il maresciallo, e io me ne andai… non sapendo che non avrei mai più rivisto mia figlia.

Andai a chiedere ospitalità ai miei, e a 50 anni non è il massimo per la propria dignità, chiamai l’avvocato e raccontai l’accaduto. Mi consigliò di tornare a prendere i miei effetti personali con un amico, temendo che la signora si inventasse qualche altra violenza. Così feci, arrivato a casa inserii le chiavi nella toppa, ma lei corse e mi bloccò la porta impedendomi l’ingresso, perché il suo avvocato aveva detto che non potevo entrare… ma l’avvocato non è il giudice gridai, dammi le mie cose… nulla, quindi il mio amico mi prese sotto braccio e mi consigliò di andarcene.

In udienza trovai la mia ex con tutta la sua famiglia al seguito, le stesse persone che avevano ascoltato le mie richieste d’aiuto per i suoi continui cambiamenti d’umore, quelli che dicevano che la sua psoriasi le creava difficoltà, o che fosse la depressione post-partum o ancora la tiroide, che aveva finalmente operato qualche mese prima… erano tutti lì a darle manforte contro di me, un metro e ottantacinque di violenza.

Entrammo in aula e dopo le formalità il giudice mi chiese di esporre i fatti. Esordii dicendo che avrei dovuto cominciare a raccontare che cosa fece due giorni prima, quando uscì senza preavviso lasciando due bambine da sole in casa, ma il giudice mi bloccò immediatamente, a lui interessava solo il fatto accaduto la vigilia di quel Natale… e così fui costretto a fare, rendendo il mio racconto monco delle motivazioni principali di quella aggressione subita.
Quando venne il suo turno cominciò una sceneggiata degna della miglior attrice… sofferenza psicologica, violenza fisica e verbale perpetrate dal sottoscritto quel giorno e negli anni (ah, lei poteva raccontare, la poverina). L’udienza durò 5 minuti per me e una decina per lei, venne tutto verbalizzato e ci congedarono.

La sentenza fu di affido esclusivo a lei con casa di proprietà e 400€ di mantenimento per mia figlia, d’altronde con la relazione depositata dal suo avvocato dove io venivo descritto come persona estremamente violenta, litigiosa, prepotente e mai soddisfatta cosa potevo pretendere? E pensare che il suo avvocato lo conoscevo, concittadini, nonché (lui) cognato di un mio collega. Di contro il mio avvocato chiedeva solo l’affido condiviso senza scrivere alcunchè contro di lei.

Cambiai avvocato, mi ricordo che quando lesse la relazione depositata dal mio primo legale rimase sconcertato. Si vergognava di avere colleghi così, disse al nostro primo incontro.
Depositai al suo studio una serie di documenti che avrebbero screditato buona parte delle falsità scritte nei miei confronti e chiedemmo in appello la CTU. Lei si oppose, ma il tribunale, grazie ad una nostra relazione finalmente esaustiva, ci concedeva quanto richiesto.

Quindi cominciammo quello che posso tranquillamente definire un calvario. Già dal primo incontro mi resi conto che la psichiatra designata per la CTU era una persona altezzosa, assolutamente di parte (tant’è che chiesi al mio avvocato di ricusarla) e senza la minima intenzione di capire la situazione. Le raccontai, ad esempio, che poco tempo dopo la mia uscita di scena, la signora aveva intrapreso una relazione con un impiegato dell’azienda dove lavoriamo io e lei e che mia figlia urlava come una forsennata tutte le notti perché quell’uomo in casa non lo voleva, che la madre le rispondeva di farselo piacere sennò l’avrebbe lasciata da sola e che tutto questo mi era stato detto dai vari vicini di casa, con cui, a differenza della signora, avevo ottimi rapporti. La risposta della dottoressa fu: “ma i suoi vicini non hanno altro da fare di notte?”
Raccontai che la signora aveva interrotto bruscamente il suo matrimonio, una relazione precedente ed una successiva a questo, tutte finite in aule di tribunale per violenze fisiche, il sottoscritto non aveva mai avuto rapporti neppure con i carabinieri… nulla, niente che facesse dubitare la psichiatra che tutta questa situazione fosse una montatura.

Poi la CTU venne interrotta per gravi motivi familiari della psichiatra, per riprendere tre mesi dopo. Provarono ad ascoltare mia figlia, che nel frattempo aveva smesso di frequentare la scuola, ma quando si trovò davanti alla dottoressa si rifiutò di parlare. Mi fecero presente la cosa, presumendo un eventuale autismo da parte di mia figlia… rimasi allibito, era sempre stata una bambina brillante, la prima della classe piena di amici e per la quale la maestra stravedeva. Risposi alla dottoressa che io non ero assolutamente d’accordo sulla sua diagnosi e che se mi avessero permesso di tenerla sarei stato in grado di farla tornare ad essere di nuovo serena.

Le mie esternazioni vennero usate per descrivermi come incapace di capire le problematiche di mia figlia e addirittura come narcisista, la cosa più lontana dalla mia personalità (parole non mie, ma della psicologa che mi supporta in questo periodo).

Nonostante ciò la CTU risultò a me favorevole, in quanto la mamma venne considerata discretamente capace nella crescita fisica, ma non in quella psicologica, dimostrando evidenti lacune sotto quell’aspetto.

Venne depositata la relazione della CTU con la relazione della mia psicologa privata che dichiarava il mio buono stato psicologico e aspettammo la sentenza.

Venne emessa il mese successivo e con grande stupore mio e del mio legale venne disattesa la richiesta della CTU (affido condiviso e casa famiglia per madre e figlia) in un assurdo decreto che disponeva di nuovo l’affido esclusivo alla madre e casa famiglia per la stessa con mia figlia.
Sinceramente non riesco a dare un senso logico a questa sentenza, l’unica cosa che posso pensare è che tra giudici non si modifichino le decisioni, onde evitare il deterioramento dei rapporti perché è assolutamente innaturale dichiarare una persona incapace, ma mantenerne l’affido esclusivo, anche premettendo che io non ho avuto la minima denuncia penale, ma la signora ha presentato un foglio del pronto soccorso con una prognosi di cinque giorni ottenuto non so come.

Ad oggi sono venticinque mesi che non vedo mia figlia, come i nonni non vedono la loro unica nipote, passo il mantenimento di 400€ per mia figlia e pago altrettanto di mutuo, per il quale la signora, nonostante sia accollato in eguale percentuale, non si degna minimamente di contribuire.

Mia figlia da due anni ha smesso di frequentare la scuola e attualmente si trova in casa famiglia con la madre, nel decreto si chiede che possa riprendere un percorso padre figlia in luogo neutro due mesi dopo l’ingresso in comunità. E io aspetto, da venticinque mesi.

UNA STORIA DI ALIENAZIONE PARENTALE


Angelo C. – Palermo

Mi chiamo Angelo, sono un medico ed ero un padre.
Circa dieci anni fa’ mi sono separato e da allora sono divenuto un “criminale”. Sono il padre di due splendidi bambini, di 13 e 11 anni.
Sono un chirurgo plastico condannato da un Tribunale siciliano a versare la somma di 2500€ al mese per il mantenimento della mia famiglia, con un diritto di visita per due giorni la settimana e weekend alterni.
Fu un periodo molto difficile per me. Il mantenimento eccessivo si sommava alla mia ex moglie, la quale inventava sempre scuse per non farmi vedere i bambini nei giorni stabiliti.
Dopo aver accumulato tanti debiti, ottenni in corte d’Appello una riduzione dell’assegno di mantenimento a 1500€.
Ero appena riuscito ad avere un adeguamento del mantenimento , quando un’intera squadra della Polizia venne in casa mia per una perquisizione. E così appresi di aver ricevuto una denuncia per abuso sessuale sui miei propri figli.
Cominciò un atroce calvario. Fui trattato per anni come un criminale, anche se non ci fu mai una prova di questo crimine.
Non ho avuto alcuna limitazione da parte del Tribunale Penale, ma il Giudice del tribunale Civile, convinto della mia colpevolezza, mi negò qualunque diritto sui miei figli, compreso quello di visita. Passarono gli anni nelle mie molteplici richieste di vedere i bambini, che furono sempre evase con provvedimenti deboli e senza nessuna volontà di riconoscere alcun mio diritto.
Solo dopo circa 5 anni, in seguito al mio ricorso in Corte d’Appello alla sentenza di separazione, riuscì ad ottenere il diritto agli incontri protetti. Riuscì ad effettuare qualche incontro con i miei bambini pur se alla presenza della madre, con gli assistenti sociali; ma quando i bambini manifestarono qualche forma di affetto nei miei confronti, la madre interruppe immediatamente gli incontri. I bambini erano molto legati a me e gli incontri furono una dimostrazione di questo bel legame.
A seguito della arbitraria sospensione degli incontri presso il CAG designato dal Tribunale, il Giudice della separazione incarica un Professore di Psichiatria di un Università siciliana, di redigere una CTU riguardo l’opportunità di proseguire gli incontri con il padre. Il professore redisse una CTU dettagliata e ricca di importanti evidenze scientifiche che lo portarono alla conferma della necessità della ripresa degli incontri.
Il Professore nella sua relazione fece la descrizione dettagliata delle evoluzioni di una Sindrome di Alienazione Parentale, ed informò il Giudice sulla necessità di incontri immediati con i bambini ed eventualmente sulla necessità di allontanamento degli stessi dalla madre.
Gli incontri tra me ed i miei figli ripresero dopo circa un anno, nel 2017.
Abbiamo avuto alcuni incontri (circa 4) spensierati fino al 30 Maggio 2017, quando mia figlia, quel giorno molto nervosa , effettuava delle dichiarazioni riportate nella relazione del Servizio Sociale, sede degli incontri protetti. La bambina alla domanda dell’Assistente Sociale se ricordasse quello che era avvenuto quando aveva 3 anni, rispondeva: “no, non ricordo bene, la mamma mi aiuta a ricordare”.
Da allora ogni contatto con i miei figli, anche solo telefonico, è stato reso impossibile dalla madre.
Purtroppo anche dopo questo episodio il Tribunale non emanava alcun provvedimento e si limitava a chiedere un’ulteriore intervento del CTU. Nel Marzo 2018 il Professore redige delle note conclusive ed indica che “a causa della incapacità della madre a garantire ai minori il diritto alla bigenitorialità, si ribadisce l’opportunità di indicare l’affidamento a terzi come quello che possa garantire meglio l’acceso dei minori al padre. Nel caso in cui la madre riproponga le modalità ostative finora messe in atto, impedendo ai minori di incontrare il padre, si renderà necessario predisporre immediatamente un affidamento etero-familiare o un collocamento presso una comunità all’interno della quale venga gestito anche il recupero della relazione del padre con i minori“.
Sebbene siano trascorsi più di 8 anni tra indagini e processo , l’11 Ottobre 2017 venni assolto dalle accuse di abuso sui miei figli con formula piena , con sentenza andata in giudicato il 25 Settembre 2018.
Ma anche dopo ciò, malgrado che da più di 4 anni erano stati disposti gli incontri protetti dalla corte di Appello siciliana , non riesco ancora a vedere i miei figli .
Neanche le direttive del Professore, così chiare e specifiche trovano riscontro nei provvedimenti del Giudice che avrebbe dovuto tutelare il diritto dei bambini di vedere il loro padre, adesso completamente scagionato da tutte le calunniose accuse. Anzi, la madre nel Settembre 2018 si trasferisce con loro in altra regione italiana, solo per allontanarli definitivamente dall’altro genitore detenente la patria potestà.
Neanche questo ulteriore abuso è riuscito ad evocare un provvedimento utile ed efficace del Tribunale.
Il mio rapporto con i bambini era buono ma diventa ogni giorno peggiore a causa dell’allontanamento e della PAS.
In Puglia, nuova residenza dei miei bambini, gli assistenti sociali hanno iniziato con grandi difficoltà e ritardi la loro attività ed hanno rilevato grosse sofferenze psicologiche e turbe del comportamento in entrambi i minori.
Questo è quello che veramente mi distrugge ogni giorno, i bambini non stanno bene ed io sono ancora con le mani legate. Mio figlio, specialmente, a cui ero legato con un rapporto fortissimo , si sente abbandonato da me. Purtroppo lui non sa e non può capire quante sofferenze ho avuto dall’essere allontanato da entrambi i miei bambini e quante lotte ho affrontato e quante sono ancora pronto ad affrontarne.
I miei bambini, sono cresciuti nella menzogna e nell’odio.
Io non mi arrendo.
Sono determinato a difendere fino alla fine il diritto dei miei figli ad avere un padre.
Malgrado le grandi frustrazioni e delusioni accumulate in questi anni, continuo a credere nella Giustizia e nelle Istituzioni.

IL RAPIMENTO DI UN FIGLIO


Giovanni T. – Roma

Mio figlio nasce in Italia il 28 settembre 2012, dove cresce, intesse le sue amicizie, viene seguito dalla pediatra, va al nido, poi all’asilo comunale, è iscritto al servizio sanitario nazionale e alla scuola primaria dell’obbligo.
In Italia gli vengono somministrate tutte le vaccinazioni obbligatorie e molte facoltative.
Era in cura logopedica da specialisti italiani presso lo studio della pediatra. Era in corso di assegnazione un’insegnante di sostegno per il successivo anno scolastico.
L’estate ci si recava abitualmente in Ucraina a visitare i nonni del ramo materno per un mese o due.
Io mi occupavo non solo di guadagnare per la famiglia, ma anche di seguire il bambino da mattina a notte: lo svegliavo, lavavo, vestivo, facevamo colazione, lo accompagnavo al nido e all’asilo, lo riprendevo e portavo al parco a giocare, lo lavavo quotidianamente, lo facevo mangiare, gli leggevo libri e favole e commentavamo i cartoni animati, lo cullavo e facevo addormentare. La notte spesso si lamentava per dolori alle gambe e lo tenevo in braccio finché non passavano.
La madre non si occupava minimamente di lui e spesso non era in casa. Guadagnava in modo a me non chiaro né noto, ma non contribuiva alla famiglia. Negli ultimi due anni in Italia non veniva nemmeno dalla pediatra dalla quale accompagnavo sempre personalmente il bambino, gli compravo le medicine e gliele somministravo secondo le indicazioni della pediatra.
Comperavo per lui gli abiti e tutto quanto altro necessario.
Anche in Ucraina mi occupavo personalmente di lui.
La madre di mio figlio da tempo pianificava di sottrarre il bambino e riportarlo in Ucraina e, alla fine dell’estate del 2016, durante le abituali vacanze, venivo allontanato dalla casa dei nonni materni dove venivo picchiato.
Il bambino è stato quindi a giorni alterni con me e con la madre per alcune settimane in attesa di rientrare in Italia, ma l’11 settembre 2016 con un pretesto la madre di mio figlio si introduceva nell’abitazione dove alloggiavo temporaneamente e in un momento di distrazione porta via il bambino.
Per settimane non l’ho più visto né sapevo dove fossero, in quanto si erano allontanati dal paese di residenza dei nonni.
Il giorno del compleanno l’ho visto qualche ora, ma poi la madre di mio figlio ed i suoi genitori mi hanno intimato di allontanarmi e nuovamente sono spariti.
Rientro in Italia per sporgere querela ex. art 574bis. Torno in Ucraina e riesco nel mese di Dicembre 2016 e di Gennaio 2017 a trascorrere qualche ora con il bambino in presenza della madre o dei genitori di lei.
Il 3 Novembre 2016 presento in tribunale in Ucraina istanza ai sensi della Convenzione dell’Aja del 1980 sulle sottrazioni internazionali di minori chiedendo l’immediato rientro del bambino in Italia.
Di tutto informo tempestivamente e costantemente il Consolato italiano a Kiev, l’Autorità Centrale italiana e ucraina ed il Ministero degli Esteri italiano.
Il controricorso della madre alla mia richiesta di rientro è inconsistente e non permetterebbe di rifiutare il rientro, allora decidono di concerto con i giudici del tribunale locale di utilizzare l’unica via rimasta: perdere tempo e tentare di appellarsi all’adattamento del minore.
E così avviene, la causa viene seguita successivamente da ben 5 giudici di prima istanza ciascuno dei quali la tiene per alcuni mesi e poi viene ceduta per vari motivi alla cancelleria per riassegnazione ad altro giudice e tutto riprende ogni volta da capo.
L’ultimo in ordine di tempo l’ha ricevuta ad Agosto 2018 e a tutt’oggi, con varie scuse, non è stata effettivamente eseguita alcuna udienza, anche se sono state fissate.
Nessuno dei giudici avrebbe un interesse personale nel ritardare la decisione, ben sapendo dei tempi stringenti (6 settimane) richiesti dalla Convenzione dell’Aja sulle Sottrazioni Internazionali di Minori. Né è stato ordinato il rientro o rifiutato. E’ pertanto evidente che il ritardo è pilotato dall’unica persona che vi ha interesse: la madre di mio figlio, l’unica che trattenendo il bambino presso di sé ha interesse che non si decida e che si riescano a costruire le condizioni affinché il tribunale possa rigettare la richiesta di rientro. Condizioni tutt’ora evidentemente assenti altrimenti il rigetto della mia istanza di rimpatrio, che non può essere immotivato, già ci sarebbe stato: non vi sarebbe infatti alcun diverso motivo per andare contro la Convenzione che impone 6 settimane per la decisione e contro le numerose e concordi sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Si è avvalsa nel tempo dell’aiuto di persone ed organizzazioni di dubbia attività che mi hanno anche chiaramente e pubblicamente, oralmente e per iscritto, minacciato di morte.
Queste minacce sono state denunciate agli organi di polizia ucraini competenti, ma senza alcun seguito. Sono state ovviamente anche segnalate al Consolato italiano in Ucraina.
Ad Aprile 2017 vengo aggredito sotto casa dei nonni materni da un gruppo di 3 giovani che mi picchiano e rapinano con lo scopo di sottrarmi il passaporto di mio figlio, a seguito di ciò riporto la rottura del setto nasale.
Per qualche mese fra Dicembre 2017 e Febbraio 2018, posso nuovamente vedere mio figlio, anche se in condizioni indegne, ma avviene solo strumentalmente in concomitanza con le udienze di primo grado del procedimento per ablazione della responsabilità genitoriale della madre incardinato in Italia.
Poi nuovamente a Marzo 2018 si rinnovano le difficoltà e gli impedimenti attuati dalla madre che da Aprile 2018 non mi permette più alcun contatto né personale né telefonico con mio figlio. Da Maggio 2018 non viene nemmeno più condotto all’asilo. A nulla servono gli esposti alla polizia ed al servizio cittadino di tutela minorile. Né le richieste in tribunale di accesso al minore.
Successivamente il giorno 8 Settembre 2018 vengo nuovamente aggredito con maggior violenza da un ragazzo (aiutato da un complice) che mi getta dell’acido in viso, riporto gravissime ustioni sul 9% del corpo e ad entrambi agli occhi. L’occhio sinistro è gravemente danneggiato e al momento ancora non vedo dopo numerose operazioni; l’occhio destro è danneggiato e necessita di ulteriori operazioni, mi permette un poco di vedere e di essere autosufficiente, ma ancora non riesco a lavorare.
Da Aprile 2018 non ho più contatti con mio figlio, né conosco il suo stato di salute.
Il bambino viene costantemente istigato contro di me e gli viene raccontato che il padre è una persona cattiva, vi sono video e Consulenze Tecniche che attestano questi maltrattamenti familiari.
La situazione giudiziaria in Italia (a giugno 2018) è stata archiviata ex. art. 10cpp, dopo reiterata opposizione, la querela ex 574bis cp che ho sporto il 17/10/2016 contro la madre di mio figlio per sottrazione internazionale di minore con la motivazione che il fatto è avvenuto all’estero in quanto trattasi di solo Trattenimento e non anche di Conduzione, in contrasto con la lettura evidente del Codice Penale e con il recente (ma antecedente l’archiviazione) chiarimento della VI sezione penale della Cassazione. Anche l’esposto alla Procura presso il Tribunale dei Minorenni del Lazio non ha avuto alcun seguito.
L’istanza di marzo 2017 al Tribunale dei Minorenni ex 330 cc per l’ablazione della responsabilità della madre di mio figlio è stata rigettata in primo grado (da tempo tutt’ora in appello, rimandata più volte d’ufficio) perché, nonostante l’accertamento dell’avvenuta sottrazione internazionale e nonostante l’evidenza che il bambino è trattenuto dalla madre che non lo fa nemmeno vaccinare che vi sono perizie che attestano uno stato di paura del bambino, il giudice non rileva altri comportamenti pregiudizievoli contro il minore, infatti il padre ogni tanto addirittura lo vede e quindi il diritto di visita è salvo (ma se non vi è un affidamento esclusivo alla madre da dove discenderebbe per il padre un solo diritto di visita?). Singolare che l’accertamento di tale reato in sede penale comporti la pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale, ma evidentemente in sede civile le valutazioni sono differenti. Il giudice di prime cure non si è espresso nemmeno circa l’affidamento del minore, pur avendo accertato la competenza italiana e essendo stato richiesto da entrambi i genitori, entrambi presenti in udienza.
In Ucraina, invece, il 3 Novembre 2016 chiedo il rimpatrio di mio figlio ai sensi della Convenzione dell’Aja del 1980 sulle sottrazioni internazionali di minori nell’ambito del procedimento di affidamento esclusivo lì richiesto dalla madre. Il 21 dicembre la madre risponde con un controricorso non pertinente per rifiutare il rientro (incentrato su una ipotetica, ma non dimostrata, abituale residenza in Ucraina e senza evidenziare alcun rischio al rientro) e inizia il balletto: il giudice rimanda in cancelleria con la scusa della separazione delle domande. Viene affidata ad altro giudice che accorda rogatoria internazionale (mai eseguita, ho anche querelato il ministero di giustizia ucraino) chiesta dalla controparte per il reperimento in Italia di prove (per altro già in loro possesso) per poi farsi ricusare dalla madre di mio figlio. La causa passa ad altro giudice che, pur fissando le udienze, non convoca per due volte l’altra parte, poi viene arrestata (per altri motivi). La causa passa ad altro giudice che nuovamente perde tempo, poi viene sospesa dal lavoro per un anno dal loro CSM. Quindi la causa passa al quinto giudice che da agosto 2018 ha fissato 4 udienze, ma non se ne è tenuta nemmeno una. Che interesse personale avrebbero questi giudici a non decidere?
Vi sono poi stati numerosi altri procedimenti pretestuosi incardinati dalla madre di mio figlio in Ucraina contro di me (fra i molti: ablazione della responsabilità genitoriale mia, risarcimento di danno morale per 1mln di euro, tutti rigettati come immotivati; affidamento esclusivo del bambino, fermo per incompetenza territoriale; togliermi la possibilità di residenza in Ucraina, in corso).

IL TEMPO INSIEME


Nicola B. – Varese

Mi chiamo Nicola.
Ho un figlio che ha appena compiuto sette anni; non ero sposato con la madre di mio figlio, ma eravamo conviventi.
Da 5 anni, da quando la mia ex convivente se ne è andata di casa portando con sè il bimbo chiedo di poter passare più tempo con lui, e viceversa. Attualmente il bimbo dorme con me SOLO quattro (4!) notti al mese. Sono disperato.

SUOCERI TROPPO PRESENTI


Giuseppe B. – Taormina

Questa è la storia di un matrimonio celebrato in una provincia siciliana e finito per la poca maturità di una ragazza che voleva fare la moglie senza staccarsi dal cordone ombelicale della famiglia d’origine.
Fidanzamento iniziato nel 2001, dove lui era sempre in trasferta per lavoro.
Durante lo stesso erano forti le liti fra lui e la famiglia di lei soprattutto con la sorella maggiore.
Il matrimonio avvenuto nel 2008 , era purtroppo privo di conoscenza reale dei coniugi, visto che lui durante il fidanzamento, essendo sempre fuori per lavoro, evidentemente non aveva conosciuto a fondo ne lei, nè il resto della famiglia, la stessa complice, dopo la separazione, dell’alienazione delle due figlie nate durante il matrimonio.
Durante il fidanzamento e subito dopo il matrimonio i due abitavano vicinissimi alla famiglia di lei (palazzina accanto), con la promessa, di trasferirsi entrambi nel paese in cui lui lavorava a tempo indeterminato. Passano mesi, anni e il marito dopo varie discussioni con la famiglia di lei per la mancata privacy di coppia, a causa delle continue visite ed intromissioni in fatti di famiglia personali della nuova famiglia creata.
Si notava, nel frattempo, che lei escogitava qualsiasi scusa pur di non allontanarsi dai suoi.
Le forti liti con il resto della famiglia, portarono al malessere della coppia.
Odio e problematiche portarono all’ estremo l’uomo ed i suoi sentimenti verso la donna tanto da terminare la relazione. Non vi sono accordi per la separazione, e nel maggio del 2016 lui va via, subito dopo aver mandato richiesta di separazione consensuale alla moglie. Ad ottobre la separazione davanti al Giudice, con un provvedimento firmato consensualmente.

Provvedimento non seguito dalla signora, se non per sua convenienza.
Gli scontri per la frequentazione delle bambine diventano molteplici, febbre improvvisa, cuginetti materni nascosti in casa, che incitavano le bambine a rimanere con loro, telefonate delle bimbe pilotate con parole nuove mai sentite.
Per un breve periodo, solo la più piccola frequentava il papà. La madre, spesso, di fronte alla porta offendeva il padre dicendogli che le aveva abbandonate e che doveva sparire per sempre.
Arrivano le denunce, in un Sabato giorno in cui da provvedimento, toccava stare al papà la frequentazione con le bambine. Prima dell’orario di visita viene chiamato dalla figlia più piccola, la stessa che sino a quel momento piangeva perché non vedeva più suo papà con frequenza, la stessa che scappava con lui, tutte le volte che andava a trovarla, per la prima volta gli disse: “Papà non venire, io non voglio stare con te!”. Il padre insospettito dalle affermazioni nuove della piccola, allora le chiese con molta calma e il cuore in gola: “Va bene piccola, starai a casa allora?”.
La bimba stette in silenzio e dopo un po’, qualcuno le suggerì qualcosa, lei rispose di sì.
Era tutta una farsa, la madre aveva organizzato una gita al mare con la famiglia ed amici , e con una semplice telefonata cercava di togliere il diritto al padre e alle bambine di frequentarsi.
Da allora le bambine sono alienate, fanno quello che ritiene più opportuno la madre ed i suoi familiari, a secondo dei loro comodi ed impegni.
Non esiste dialogo con lei, che nel frattempo porta in casa in presenza di due minori, estranei i quali passano ore intere anche a cucinare dentro quella casa, ed escono anche alle prime ore del mattino.
Ogni qualvolta le bambine non hanno voluto vedere il padre, anche potendolo, non sono mai state chiamate le forze dell’ordine con un provvedimento in mano, giustificando lo stesso. Sempre e solo per non far assistere le bambine, a scene imbarazzanti.
Il padre: “Perché le bambine non mi chiamano se non lo faccio io ?”.
La madre: ”Ho difficoltà a ricordarglielo!”.
I rapporto fra due genitori può finire, ma i genitori non si separano mai dai figli!

UFFICIALE E GENTILUOMO


Sergio V. – Sirolo

“A proposito, metà tempo metà remunerazione!?”.
“Non ho idea, sinceramente, ma non saprei cosa ci aspetta di fare domani mattina. Ti preoccupa tanto il lato economico?”.
“Si, assolutamente si!”.
“Ma come mai!?”.
“Perché non ho un euro in tasca, semplicemente per questo”.
“Ma non vi pagano nelle forze dell’ordine? Sei anche un ufficiale”.
“Certo che mi pagano e mi mantengono anche bene tra vitto ed alloggio. Ma la separazione per me è stato un bagno di sangue economico, drammaticamente stabilito, a più riprese, dal tribunale competente”.
“Mio caro ma avranno fatto dei calcoli, avranno stabilito delle competenze economiche ragionevoli, mica ti avranno fatto appositamente del male!?”.
“E invece si, e sai come? È semplice: si comincia col chiedere, da parte della ex, una cifra spropositata, fuori dal mondo e tu devi giustificare perché non è possibile sostenerla, porti la tua busta paga e pensi che il Giudice faccia i suoi calcoli. Dopo di che la ex, con quel brav’uomo del suo avvocato, comincia a dire che negli ultimi mesi hai percepito un altro stipendio per la missione in Iraq, poi un’indennità dell’assicurazione per la ferita riportata, e tu ribatti, con quel gentil’uomo vero del mio avvocato, che le circostanze erano straordinarie come gli emolumenti percepiti e che quindi non fanno media. Poi la ex tira fuori che tuo padre ti ha lasciato un bar, qualche terreno agricolo, particella per particella, e una casa al mare in eredità per le quali vengono pagati gli affitti, e allora tu porti i documenti per dimostrare che sì, tu hai intestato il tutto, ma che l’usufrutto è di mia madre secondo gli accordi intesi da mio padre e che non percepisco alcunché. Poi viene fuori che le tasse su queste proprietà sono a mio nome, e allora porti i documenti per dimostrare che sono a mio nome ma li paga mia madre dal suo conto corrente poiché è lei la beneficiaria. Quindi viene fuori una cifra molto più alta di quella che dovresti pagare in proporzione allo stipendio poiché è vero che per i figli fai questo ed altro, ma è altrettanto vero che dovresti avere una base su cui contare per poter vivere con un certo decoro. Poi il mutuo della casa coniugale è intestato a me e quindi devi pagarlo, pertanto ti rimangono cinquecento euro al mese per campare. Quando lo fai presente al giudice ti risponde che ne terrà sicuramente conto, prende le dichiarazione dei redditi di entrambi e mantiene per prassi un congruo miglioramento di vita per la donna e una miseria per l’uomo. Sempre”.
“Ma tu devi dare un mantenimento alla tua ex o solo ai figli?”.
“Solo ai figli, la fedifraga era lei, quindi anche se il tradimento non viene sanzionato di fatto mi tolse il dovere di mantenere lei, ma conta poco perché viene allargato il lato economico per i figli, ben sapendo che lei gestirà al cento per cento quel denaro, la casa e le spese. Tu paghi il mutuo, dovresti cercarti un nuovo alloggio e vivere sereno e contento di poter avere i figli quei giorni che il tribunale ti concede”.
“Ma dai, è impossibile. Non ci credo”.
“Ah no? C’è di più, dovetti andare a vivere da mia madre, grazie a Dio c’era lei, quindi capisci che non è una cosa agevole e accettabile per un uomo adulto. In qualche modo me la cavai. Poi mio figlio cominciò a dire che avrebbe voluto stare più tempo con me, che avrebbe voluto convivere di più le nostre giornate assieme, che sono poche, lo scrisse sul biglietto di auguri natalizio e lo disse a tutti. E tu che fai? Pieno di orgoglio per la volontà del figlio, con le residue forze economiche cerchi un appartamento per chiedere al tribunale il diritto dovere di stare più tempo con i figli. La ex si oppone in modo virulento ma il tribunale accetta di sentire la versione del figlio che ormai ha dodici anni, ne certifica in modo inappuntabile che è vero quello che viene richiesto, che lui vuole stare con il padre, anche perché la madre gli vuol far frequentare il nuovo compagno e questo lui non lo sopporta. Pensai che ce l’avevamo fatta, mi sembrava palese e certificato quanto avevo richiesto. E invece no, giunge la sentenza che certifica la volontà del figlio, assegna più giorni al padre rispetto alla madre ma non la ‘genitorialità prevalente’ in quanto il figlio stesso deve avere il tempo di accettare il nuovo compagno della madre, pertanto mi trovai più spese e nessuna diminuzione dell’assegno di divorzio. Li capii che non c’era verso e che il tribunale coscientemente voleva che io finissi sul lastrico e ci riuscì, rinunciai a qualsiasi ricorso legale e accettai il destino che il tribunale aveva scelto per me. Dopo un po’ di tempo chiesi scusa ai miei figli e lasciai quella casa in affitto, spiegai loro la situazione e andai a vivere in caserma incontrandoli quando possibile da mia madre, ormai molto anziana. Tralascio tutto il veleno e le mie considerazioni sulla giustizia e il genere femminile in caso di separazione e divorzio, ti dico solo che io non lottai per un giudizio ma contro un pregiudizio e naturalmente ho perso tutto, tranne l’affetto e la stima dei miei figli. Ti ripeto solo che quei soldi per me sono molto importanti e spero che tu adesso ne abbia compreso il motivo. Io mi ero completamente arreso, questa missione è stata una botta di vita incredibile e, purtroppo, anche economica”.
“Scusa ma io non ci credo, non è verosimile”.
“Ascolta, ti lascio nel dubbio, tagliamo qui il discorso perché perdo molta della mia lucida sportività quando parlo di queste cose, divento noioso e offensivo. Quindi dammi pure del taccagno misogino e io non ribatterò su nulla. Ok?”.
“Insomma tu mi stai dicendo che una sera torni a casa dalla tua famiglia e siccome lei si è innamorata di un altro tu perdi tutto, ma proprio tutto, nel breve volgere di qualche mese? Moglie, amore, figli, casa, soldi!?”.
“Sì è esattamente così, bello no!? E anche i mobili, i libri ecc..Ma ti ripeto quello che ti dissi giorni fa’, avrò avuto le mie colpe che non saprei del tutto elencare, giustifico lei in tutti i modi e tralascio le mie considerazioni, rimane il fatto che un bel giorno crolla il mondo e il mondo stesso spera che tu reagisca come se tu fossi uno svedese, con equilibrio e sobrietà, devi perdonare questa sorte cinica e bara e continuare la tua vita occupandoti al meglio della vita dei figli. Perché? Perché lei si è innamorata di un altro. Vuoi negare questa libertà alla signora in questione? Giammai, ma il risultato è questo. Possiamo cambiare discorso ora?”.
“Insomma il mio bell’ufficiale è povero, come ti sei abituato a questo!?”.
“Male, un po’ per volta, poi è una valanga. Cominci a risparmiare, a rinunciare, a tagliare ma con moderazione. Poi ti accorgi che non hai la possibilità di prendere una multa, non ti puoi permettere la manutenzione dell’auto e quindi non puoi pensare di avere un incidente. Ti senti debole e in balia degli eventi. Ogni bolletta diventa una lama sul fianco, ogni volta che il postino ti porta una lettera sconosciuta pensi al peggio. Inizialmente dici a te stesso che i sacrifici li fai per i figli ma poi ti accorgi che stai perdendo dignità perché io sono povero per legge, è il tribunale che ha voluto così, scientemente ti ha relegato a ‘produttore di reddito’ per le voglie adolescenziali di quella donna. Ed ecco che ti rassegni, pensi alle offerte speciali per le poche spese che devi fare, e ti chiudi in caserma per consumare la vita il meno possibile, meno esci e meno spendi. Ti chiudi dentro un bozzolo protettivo in attesa che qualcosa cambi, ben sapendo che è un’attesa vana. Così capisci che sei tecnicamente povero e ti abitui al ‘meno’, costantemente. Non compri più libri ma li prendi in biblioteca, smetti di guardare vetrine, siti web, ti togli dal desiderio di tutto. Racconti a te stesso che sei una monade che sa fare a meno di tutto ciò che è possibile e speri che i figli capiscano che non puoi comprargli quelli che tu ameresti regalargli. In poche parole, uno schifo di vita”.

UNA STORIA COME TANTE


Nicola C. – Orvieto

Sono uno dei tanti padri che è stato portato in Tribunale dalla propria “Signora” a seguito di richiesta di separazione giudiziaria per piegarsi ad una risoluzione consensuale di una controversia con motivazioni che nulla hanno a che fare col benessere dei figli: la divisione del patrimonio comune in modo assolutamente iniquo.
Racconto brevemente la mia storia. Una storia come tante. Triste come tante.
Credo fortemente nel valore della famiglia. Mi sposo giovanissimo, qualche tempo dopo la laurea. Nascono due splendidi figli. Il primo, maschio, arriva dopo poco più di un anno di matrimonio. La seconda, femmina, vari anni dopo. Con i ragazzi ho buoni rapporti nonostante le tensioni che si possono creare durante l’adolescenza tra il padre ed il figlio maschio.
I rapporti con la “Signora”, complice il lavoro di entrambi e le differenze sulla visione educativa dei figli, si raffreddano. La “Signora” diventa sempre più aggressiva ed intollerante ed io cerco di assorbire, comprimendo il mio malessere. E faccio questo sempre per il bene dei ragazzi nonostante tante volte abbia avuto il desiderio ed alle volte l’impeto di far saltare tutto per aria.
Ma non l’ho fatto, per i ragazzi. Per non privarli di un’importante risorsa qual è quella della famiglia, anche a scapito della mia serenità personale.
Le provocazioni da parte della madre, anche gratuite e che spesso scendono a livello personale, sono tante e talvolta non riesco a mantenere i nervi saldi cedendo alle provocazioni.
A seguito dell’ennesimo litigio, da lei provocato come sempre, questa decide di lasciare la casa familiare per andare dai propri genitori portandosi con se la bambina piccola mentre il ragazzo grande rimane con me. Tre giorni dopo ricevo la lettera dell’avvocato con la quale vengo sollecitato a lasciare la casa coniugale. Dopo altri tre giorni la madre “scortata” dalla suocera fa letteralmente irruzione in casa e porta via anche il ragazzo.
Responsabilmente, per il bene dei miei figli, decido di lasciare l’abitazione coniugale.
Da quel momento subisco importanti pressioni quotidiane per la definizione “consensuale” della separazione con condizioni, postemi dalla ex moglie, assolutamente capestro. Sia affettivamente che economicamente.
Decido volontariamente di trasferire alla “signora” un assegno di mantenimento di entità con lei concordata, per lo meno inizialmente. Subito pongo però dei paletti importanti che credo assolutamente ragionevoli: parità negli affetti e parità economica. Da notare che la mia ex moglie, professoressa universitaria, ha redditi di tutto rispetto, anche più alti dei miei.
Le insistenze della “Signora” continuano.
La ex moglie, forte del mio stato d’animo turbato a causa del repentino cambiamento di vita, fa pressioni sempre maggiori obbligandomi a sospendere i contatti per prendere respiro.
Incominciano le problematiche di frequentazione con i figli.
Il ragazzo da subito si appiattisce sulle posizioni della madre, rifiutandosi di incontrarmi in quanto “reo” di insistere per tempi paritari. Rifiutandosi di incontrare anche i miei familiari.
Per la bambina invece ci pensa la madre. Nascono tanti problemi: sugli orari, sui giorni, sui pernottamenti, sulle frequentazioni, su tutto.
Nonostante queste le difficoltà riesco a creare una nuova condizione di equilibrio, per lo meno con la bambina. La bambina sta con me due pomeriggi la settimana compresi i pernottamenti e week-end alterni dal venerdì al lunedì successivo. Tempistica ragionevole. Col ragazzo è più difficile ma sono determinato a farlo ragionare e cerco in ogni modo di raggiungerlo nonostante il fatto che sia sgusciante.
La madre, vedendo che comunque non cedo né ai suoi ricatti economici né ai suoi ricatti emotivi, decide di presentare richiesta di separazione giudiziale “concedendomi” due pomeriggi con la bambina, senza pernottamento e week-end alterni con solo pernottamento il sabato. La tempistica col ragazzo invece chiede venga lasciata alle determinazioni tra me ed il ragazzo, ben conoscendo le mie difficoltà di frequentazione con lui. Che madre premurosa!
Io invece chiedo da subito tempi paritari e mantenimento diretto per entrambi i figli ed al contempo di essere aiutato col ragazzo mediante CTU.
Si arriva alla presidenziale.
La madre chiede al giudice che, oltre al ragazzo sedicenne, venga sentita anche la bambina infra-undicenne. Mi oppongo in quanto credo fortemente che non si debbano coinvolgere i bambini nel conflitto, non li si debbano turbare, che debbano essere tutelati da queste situazioni emotivamente più grandi di loro. Ma la madre insiste affermando che la bambina è molto matura e che la ha “supplicata” di essere sentita dal giudice. Il giudice acconsente. Non dimenticherò mai lo sguardo di intesa tra la mia “Signora” e il suo avvocato. Sguardo compiaciuto. Mi entra il freddo nelle ossa ogni qualvolta ci ripenso.
Evidenzio al giudice il fatto che ho assunto un debito importante per sistemare una casa appartenente alla mia famiglia, ma che non ho ancora cominciato a restituire.
Il giudice sente i ragazzi, i quali rilasciano dichiarazioni completamente sovrapponibili alle richieste della “madre”.
Arrivano i provvedimenti provvisori.
Il giudice si appiattisce sulle richieste della madre riducendo i miei tempi di frequentazione, di fatto relegandomi dal mio ruolo di padre al ruolo di accompagnatore, naturalmente affibbiandomi un’importante cifra per il mantenimento, non tenendo conto del debito assunto con la motivazione che non avevo ancora cominciato a restituirlo.
Il giudice quindi emette ordinanza pronunciando un affidamento condiviso solo nominale, che in concreto svuota il mio ruolo di genitore come nemmeno un affidamento super esclusivo vede fare. Un provvedimento che non tiene conto che un pomeriggio invernale di un bambino è fatto di diversi impegni, così che gli esigui margini di tempo a disposizione si riducono a ritagli in cui è impossibile non solo esercitare il ruolo di genitore, ma anche solo avere un minimo di rapporto. Ruolo unicamente vantaggioso per la madre che si trova ad avere un tassista e/o un babysitter a costo zero, anzi… per giunta pagante per esercitare tale ruolo.
Del bel rapporto con mia figlia mi rimangono in mano le briciole. Come immediata conseguenza anche i rapporti con la bambina diventano più critici.
Diventa difficile raggiungerla per messaggio. Si interrompono i rapporti anche tra la bambina e la mia famiglia se non per sporadici episodi. Così anche con una coppia di amici di famiglia che hanno una bambina coetanea, nonostante il profondo legame esistente da sempre tra le bambine ed anche con la madre dell’amichetta. In una logica di schieramenti, queste persone, forse solo per avermi sostenuto nelle gravi difficoltà che ha dovuto affrontare in questo conflitto sono sparite dal panorama affettivo della bambina.
Faccio richiesta di modifica dei provvisori, sia per quanto riguarda i tempi, chiedendo che vengano almeno ripristinati quelli antecedenti i provvisori evidenziando quanto sono stati prorompenti nel mio rapporto con la bambina; sia per quanto riguarda l’aspetto economico evidenziando di aver cominciato a restituire il debito.
Il giudice rigetta l’istanza, senza di fatto motivare il provvedimento. Ora la causa va avanti.
Cosa devo pensare? Che deve pensare un uomo? Che deve pensare un padre di fronte ad un utilizzo brutale della legge che consente a madri senza scrupoli di utilizzare i figli come merce di scambio per perseguire i propri scopi ed obiettivi?
E voi giudici, come tutelate i padri da queste tipologie di madri? Madri malevole le cui condotte sono orientate a gestire la separazione come l’eliminazione totale di un componente del nucleo familiare: fuori di casa, fuori dalla vita dei figli, tenuto solo al pagamento di somme a richiesta del genitore che si ritiene unicamente investito del potere di gestire la vita dei figli.
Come tanti padri sono stato allontanato dalla casa coniugale nonostante sia stata acquistata paritariamente da entrambi i coniugi.
Come tanti padri sono stato allontanato dai miei figli con “ordinanza presidenziale” con l’imposizione di tempistiche che mi impediscono di coltivare alcun rapporto con loro.
Come tanti padri sono stato caricato di un assegno spropositato con riferimento ai miei redditi, ai debiti contratti per la necessità di adeguare un nuovo alloggio per me, alle mie necessità di poter condurre una vita dignitosa.
Come tanti padri sto subendo quella che, a tutti gli effetti, è un’applicazione partigiana della normativa attuale, assolutamente contro la figura maschile ed anche a tutti gli effetti contro l’interesse morale e materiale dei figli.

Leggo la l.54/2006.

L’art. 155 c.c., riformato, nello stesso secondo comma in cui prevede in via prioritaria “la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori”, dispone che il giudice fissi “altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento…”, così conferendo allo stesso giudice un’ampia discrezionalità, sempre ovviamente “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale” della prole”.

Qual è l’interesse del minore?
Quello di vedersi privato della figura del padre?
Quello di avere un padre relegato al ruolo di bancomat?
Quello di vivere una vita agiata con la madre, grazie ai soldi del padre e di vivere una vita modesta quando è col padre il quale, schiacciato dall’assegno affibbiatogli, non è in grado di portarlo al cinema, a prendere una pizza, di regalargli una maglietta o un paio di scarpe?
Sarà… ma a me qualcosa non torna.
In tutto questo non ci vedo una logica. Non ci vedo alcun buon senso.
Ci vedo solo uno strumento in mano a donne senza scrupoli che manipolano impunemente i figli contro il padre. Donne in preda al delirio di onnipotenza che ritengono i figli una propria proprietà personale utilizzabile come clava contro il padre.
I giudici dovrebbero prenderne atto ed essere i primi a lanciare un forte messaggio educativo e normalizzante all’indirizzo delle madri.
Il messaggio che i figli devono essere resi liberi da un conflitto che non gli appartiene ma li rende infelici ostaggi; che devono poter crescere avendo fiducia che i contrasti familiari sono esperienze superabili attraverso dialogo, vicinanza e frequentazione; che devono avere consapevolezza che è giusto, normale ed anche nell’interesse di una loro sana crescita continuare ad essere figli di entrambi i genitori allo stesso modo, non come sterile proclamazione, ma nella concretezza della loro vita quotidiana.

PADRE NON CONIUGATO


Lorenzo C. – Modena

Sono un padre, non coniugato, divenuto papà a 45 anni di una splendida bimba.
A me, nella lotteria separativa, è toccata in sorte mia figlia per 10 notti al mese, che saranno 12 al compimento del 9° anno di età anche se la madre della piccola ultimamente sta concedendo a nostra figlia il privilegio di pernottare 12 notti con un anno e mezzo di anticipo sulla scadenza in precedenza accordata. Forse, oltre a ragioni personali, la mia abnegazione nell’accudimento della bimba hanno prodotto effetti sulla coscienza della madre.
Ma queste condizioni, che mi rendono un papà invidiatissimo da chi sta peggio, non sono state ottenute certo gratis, e non senza una durissima lotta, in condizioni psicologiche difficilissime (perfino i miei familiari non capivano perché insistessi per i pari tempi di frequentazione, in virtù di un accordo, poi consensualizzato, anche se mi è toccato fare ricorso per ottenere pari tempi, giungendo invece in modo “spontaneo” alle summenzionate condizioni frequentative, relativamente onorevoli (ma che non mi appagano), e anzi mi fanno sentire in colpa con la piccola.
La bimba, già a 5 anni, mi disse, commuovendomi profondamente: “Papà, io voglio bene a te e voglio bene alla mamma: voglio fare 3 giorni e tre giorni!” (la piccola, alla sua tenera età, accettando serenamente molto più degli adulti la divisione dei genitori, che comunque ha sempre sentito presenti e accudenti, aveva individuato la soluzione sensata: periodi infrasettimanali alternati e paritetici, per non stare troppi giorni senza l’uno o l’altro genitore).
E non mi è andata poi tanto male, in fondo, in quanto mi era stato inizialmente intimato, a mezzo raccomandata A/R, dal legale della mia ex compagna, di accontentarmi “nell’interesse della minore”, “prossima al compimento dei 6 anni”, di un “diritto di visita” (!) di 2 “pernotti” ogni 4 settimane, oltre a due pomeriggi.
Quello che io chiamo il minimo sindacale, e che credo purtroppo sia medicina propinata spessissimo, pena lunghe e costose battaglie giudiziarie dall’esito comunque incerto, facendo riferimento nei provvedimenti all’affido condiviso. Al falso affido condiviso, vero affido semi-esclusivo.
Ovviamente, l’accordo è stato raggiunto lottando con le unghie e con i denti, peraltro senza alcun incontro (da me sempre richiesto e sempre negato) per discutere in dettaglio e organizzare la suddivisione dei tempi in modo sensato, aderendo a condizioni economiche ultimative e penalizzanti, non trattabili e non rispondenti a criteri di legge; di più non posso dire, per tutela della mia persona ma soprattutto della bimba.
Per mia figlia, questo e altro.
Da quando ho realizzato in prima persona che in Italia ci sono diuturne violazioni dei diritti civili di figli e genitori, non ho avuto pace (prima di queste cose, come molta parte dell’opinione pubblica, non ero consapevole o, mi vergogno a dirlo, attribuivo le condizioni separative “standard” della giurisdizione italiana a disinteresse dei padri, fenomeno che esiste ma che non deve penalizzare tanti genitori accudenti e presenti, come chi scrive), e ho cercato di fare tutto il possibile, senza lesinare.
Mi sono inscritto a Gruppi social, ho studiato, ho fatto autoformazione sul tema della riforma dell’affido condiviso, in questo molto aiutato dall’ispirazione di altri che, padri come me, lottavano e lottano per una società più giusta.
Sono entrato a far parte di due Associazioni bigenitoriali per la tutela dei diritti civili dei minori e dei genitori, in una (“Associazione MdM – Movimento Mantenimento Diretto per l’Uguaglianza Genitoriale”) invitato a ruoli di responsabilità, mi sono prodigato in molteplici attività e tra le tante cose fatte a diversi eventi di raccolta firme per sostenere il punto programmatico sulla riforma del diritto di famiglia presente nel “contratto di governo”, collaborando con altre Associazioni e toccando con mano il diffuso fenomeno dell’alienazione genitoriale indotta.
In questo modo, pur indegnamente, cerco di pagare il mio “debito” morale con genitori meno fortunati di me, in quello che – a oggi – è un disastro sociale, perpetrato sotto la luce del sole dalla giurisdizione e da professionisti, contrari pregiudizialmente a qualsiasi riforma e poco avvezzi al codice deontologico, indegno di un Paese moderno e progressista, di fatto arretrato e permeato da discutibili pregiudizi antipaterni.
Per i figli altrui, che non amo meno della mia, questo e altro.
Nel 2019, in questo Paese bisogna ancora lottare per i diritti civili dei propri figli, consistenti in primis nel diritto alla Bigenitorialità e a un affido materialmente condiviso, e per il proprio sacrosanto diritto all’Uguaglianza Genitoriale, costituzionalmente garantito dalla Costituzione più bella (e più disapplicata) del mondo, oltre a svariate sentenze della CEDU e a varie Convenzioni internazionali ratificate in merito dal nostro Paese.

*        *        *

Il vero “cambio di passo” di ogni riforma ventura, che si prefigga di risolvere il problema, non più che passare a mio avviso attraverso la (non ridondante, vista l’orientamento “pregiudiziale” che affligge la giustizia separativa) enunciazione esplicita del principio di uguaglianza giuridica e morale delle figure genitoriali.
Saranno i nostri bimbi a beneficiare della riforma che verrà, per una Società migliore.

UNA DISTANZA INCOLMABILE


Stefano C. – Ragusa

Nel 2009, dopo due anni di fidanzamento ed all’età di 27 anni, convogliavo a nozze. La mia attuale ex moglie ne aveva 26 di anni. Io svolgevo l’attività di agente di commercio, lei, neo laureata in lettere, si affacciava al mondo del lavoro in cerca di prima occupazione. Andammo a vivere in un piccolo appartamento di mia proprietà. Dopo 6 anni nasceva nostro figlio. Tutto filava liscio. Ad un anno dalla nascita la mia ex volle cambiare casa scegliendo un appartamento più grande di proprietà della di lei madre.
Iniziò così la nostra crisi coniugale. Nel 2011, comprammo insieme una nuova casa, ma la crisi continuava. Nell’ottobre del 2014 decidemmo per la separazione.

Riuscimmo a trovare un accordo consensuale: 500€ al mese di mantenimento, casa coniugale a lei, spese extra 100% a mio carico. “Diritto di visita” mercoledì’ e venerdì con pernotto, week and alternati dal sabato mattina all’uscita di scuola al lunedì all’ingresso. Una settima a Natale, tre giorni a Pasqua, 10 giorno a giugno, 10 a luglio e 15 in agosto.
Depositammo la consensuale nel marzo 2015, io lasciai immediatamente la casa coniugale, udienza di omologa fissata per novembre 2016.
Nel settembre 2016 ricevo una laconica raccomandata nella quale la mia ex comunicava di aver accettato una supplenza scolastica in provincia di Torino, che sarebbe partita immediatamente portando con se il bambino, e riservandosi di comunicarmi nuovo domicilio.
Il giorno dopo ricevo altra raccomandata nella quale il nuovo legale scelto dalla mia ex, nota e famigerata avvocatessa divorzista, mi comunicava di non voler procedere con la consensuale, poiché la stessa non era conforme “al superiore interesse del minore”. Evidentemente l’interesse del minore, secondo la mia ex ed il suo procuratore, consisteva nella scomparsa del padre dalla vita del figlio.

Da questo momento, e per tre mesi, non so dove è mio figlio, mi viene impedito qualsisia contato anche telefonico, buio totale.
Mi reco dalle forze dell’ordine per sporgere denuncia per sottrazione di incapace, avvio procedimento di rintraccio presso il tribunale per i minori. Buio, di mio figlio nessuna traccia o notizia.
La scuola mi informa di avere ricevuto richiesta di nulla osta per l’iscrizione a di mio figlio, mi oppongo. In attesa di provvedimenti del giudice rientro in possesso dell’immobile di proprietà di entrambi. Il 13 Novembre è fissata la prima udienza detta presidenziale.

A corredo dell’atto stilato dall’avv. Difensore della mia ex vengono allegate n. 8 denunce per:
3 stalking (io non sapevo neanche dove abitava la mia ex con mio figlio)
1 violazione di domicilio
1 danneggiamento dell’immobile
1 furto di acqua
1 furto di corrispondenza
1 truffa (a causa di ritardi di pagamento in un finanziamento co intestato)
Ci mancava solo la denuncia per spionaggio internazionale, altro tradimento della patria e cannibalismo!

A distanza di anni fa sorridere, tutte le accuse sono state archiviate per infondatezza della notizia di reato, ma il livello di malvagità lascia basiti.
La mia ex chiede che io veda il bambino solo in spazio protetto.
Il giudice istruttore, donna lasciata dal marito quando rimasta incinta, appena entro nella stanza mi guarda con aria cagnesca. Mi chiede spiegazioni per tali accuse. Chiarisco che sono false, sono un professionista stimato ed incensurato.
Il mio avvocato fa la sua ottima parte, partendo dal grande svantaggio di partenza.
Non conta che lei è oggettivamente scappata portando senza consenso il minore con lei, non conta che io non lo vedo da tre mesi. Conta che io sono uomo e quindi in quanto uomo, papà sono con tutta probabilità un orco, e nel dubbio meglio credere alle accuse.
Il giudice, a metà dicembre, emana i provvedimenti:
Il bambino collocato presso la madre, ovviamente (sic!), €300,00 di mantenimento, spese extra compensate al 50%, possesso della casa coniugale da decidere per le vie ordinarie, quindi non assegnata a lei, ed adesso viene il bello: “il padre ha diritto ad un ampio diritto di visita, un weekend al mese dal venerdì alle 17.00 a domenica alle 20.00”.
Quell’ampio suonava come uno sfottò, e l’ordinanza una vero e proprio atto alienante. Viene disposta la CTU per valutare quale genitore sia più idoneo al collocamento. Mi reco finalmente a Torino e riabbraccio mio figlio dopo oltre tre mesi, mi ritengo fortunato rispetto altri padri. Le maestre mi informano che mio figlio non spiccica una parola in classe, non ha un amico, il rendimento crolla. Nessun amico nemmeno fuori.

Ad aprile 2016 iniziano le “operazioni peritali”, dai test si evince che la figura di riferimento genitoriale per il bambino è papà. Mostrata l’immagine di un canguro con il suo cucciolo nel marsupio il bambino descrive “un papà con suo figlio”. Mostrata l’immagine della gallina che da mangiare ai pulcini “ un papà che dà mangiare ai sui figli”… etc..
Ad agosto 2016, il bambino scende a Catania per le vacanze, e qui succede un piccolo caso.
Finite le vacanze il bambino rifiuta di tornare dalla madre “tu mi riporti a Torino ed io non voglio “, la mia ex chiama i carabinieri, che verificata la volontà del bambino rientrano in macchia e se ne vanno. Ciò accade tre volte. La mia ex mi fa contattare da una caserma dei carabinieri, di un paese limitrofo a quello di nostra residenza, che mi invitano, su appuntamento a presentarmi in caserma per lasciare il bambino.
Mi presento, trovo tre carabinieri in borghese e l’assistente sociale, devo dire tutti dotato di grande umanità, fortunatamente.
Il bambino si attacca alla mia gamba, strilla, strepita, si dimena. Il personale si avvicina con tatto, convincono il bambino a staccarsi dopo circa un’ora. L’assistente sociale porta il bambino in una stanza per calmarlo e convincerlo ad andare con la madre. Escono dalla stanza, l’assistente sociale non fa in tempo a dire “tutto ok” che il bambino corre verso di me si aggrappa alla mia gamba gridando “non mi lasciare, non voglio andare via, aiutami”.
A questo punto militari ed assistente sociale alzano le mani, mi invitano ad andare via con il bambino rimettendosi alle decisioni del giudice. Udienza urgente chiesta ed ottenuta dalla mia ex, nel giro di 48 ore siamo davanti al giudice, e mi chiedo se tale richiesta l’avesse fatta un padre, quanti anni sarebbero passati per la prima udienza?
Carabinieri ed assistente sociale certificano con chiarezza e sincerità l’accaduto. Il giudice legge distrattamente, sbatte due pugni sul tavolo “il bambino sta con la mamma, punto!”. Mi costringe a lasciare, il giorno dopo, il bambino presso la sede dei servizi sociali, pena prossimi provvedimenti forzosi.
Quella mattina mio figlio urla, piange si dimena, intervengono anche 2 vigili urbani allertati dal chiasso, evidente la commozione anche dall’assistente sociale.
Mio figlio viene portato via, capitolo chiuso, i danni li pagheremo per chissà quanti anni ancora.

Ad ottobre arrivano le relazioni degli assistenti sociali, Catania che ha assistito a tutti i fatti, ha conosciuto sia me che la mamma ed il bambino e di Torino. Catania racconta del disagio del bambino e chiede maggiori momenti di incontro con il padre e Torino, sulla scorta di quanto riferito dalla madre, parla unicamente di me descrivendomi alla stregua di un mostro, arrivano a definirmi nazista, e chiedono che gli incontro padre figlio avvengano in spazi protetti.
Fortunatamente la CTU evidenzia l’incoerenza e chiede nuova relazione ai servizi di Torino dopo aver ascoltato anche il padre.
La CTU rileva che il bambino ha un legame maggiore con il padre, che soffre la lontananza, che lo “sradicamento” dalle abitudini e dagli affetti del bambino ha causato importanti danni, purtuttavia, lascia il collocamento presso la madre, senza dare un’ombra di motivazione, ed ampia al sottoscritto il diritto di visita, due lunghi week and al mese dal venerdì al martedì.
Il giudice, su nostra istanza, dispone che il bambino venga seguito dal servizio di neuropsichiatra competente.
Non la faccio troppo lunga e vado a stringere.
Mio figlio continua a stare a male, non è inserto, non ha amici ha sempre l’aria dolorante. Il parroco del paese, uomo di Dio, sente il dovere di scrivere servizi sociali e mettermi in conoscenza raccontando dell’evidente dolore del bambino “aiutiamolo” dice. Riesco a fare riaprire la CTU, siamo a dicembre 2018, mio figlio risulta DEPRESSO, a soli 10 anni mio figlio è depresso, la madre incurante dei sui reali bisogni, con esame approfondito si evidenzia anche la presenza di uno spettro autistico. E ripenso con dolore a quei due pugni sul tavolo del magistrato. Quante sentenze scritte noncuranti del vero bene dei figli, decisioni prese per preconcetto sessuale… quante?

A Torino anziché dal servizio di Neuropsichiatria il bambino è stato affidato ad uno psicologo praticante psicoterapeuta, un giovane alle prime armi. L’assistente sociale incaricata a Torino ha un contratto a termine per sostituzione maternità, insomma… dilettanti allo sbaraglio, gente che tratta i casi umani come carne da cannone. La mia ex ha sempre negato qualsiasi malessere del bambino, per altro più che evidente. Ed ora attendiamo le decisioni del giudice. Vedremo…

Specifico che questa guerra mi è costato fino ad ora:
Avvocato civile : €18.000,00
Avvocato penale: €2.000,00
Neuropsichiatra di parte: €4.000,00
Tutti i mesi spendo €1.500,00 per andare a Torino.
E mi chiedo, cosa sarebbe successo ad un padre che vive con uno stipendio di €1.200,00?

UNA VITA STRAVOLTA


Francesco G. – Taranto

Scrivo stremato e affranto dopo 4 anni di tribunali e ingiustizie. Dopo 4 anni di tentativi, da parte della mia ex, di distruggere la figura paterna dei miei figli. Nella fase presidenziale della separazione giudiziale sono stato “investito” (senza alcun motivo) da un’ordinanza presidenziale che ha sconvolto la mia vita e quella dei bambini:

– permanenza con i bambini: un solo pomeriggio settimanale;

– mantenimento: 800€;

– casa familiare: assegnata alla mamma ma con pagamento del mutuo (850€) totalmente a mio carico;

– spese straordinarie: 70% al papà.

E a pensare che nel 2016 sono andato di fronte al giudice vittima di un tradimento provato da un investigatore.

Premetto. Sono un Ufficiale dell’Esercito che guadagna 1800€ al mese. Un giudice con il provvedimento temporaneo del 2017 ha deciso di farmi vivere senza i miei figli, e con 150 euro al mese.

Tre anni fa sono stato allontanato da casa mia (lasciata in donazione dai miei genitori) sotto minaccia (“Mi faccio del male se non esci…”).

Per tre anni ho patito per fare il padre. Prima dell’ordinanza del febbraio 2017 i miei figli stavano al 50% con me ed erano sereni, nonostante la mamma facesse di tutto per ostacolare questa permanenza.

Con l’ordinanza la vita dei bambini si è stravolta e solo dopo grande insistenza degli avvocati si è riusciti a fare un accordo (depositato in tribunale nell’aprile 2017) che mi consentiva di stare con loro due pomeriggi a settimana e a weekend alternati (a partire dal venerdì).

Per un anno e mezzo l’accordo è stato rispettato ma dopo l’estate 2018 la mamma ha deciso di stravolgere nuovamente la vita dei figli e tornare ai termini dell’ordinanza.

Senza motivo ha privato ad un padre di:

– accompagnare e riprendere i bambini a scuola;

– sentirli al telefono;

– portarli al catechismo;

– vivere i suoi figli.

Sono arrivato a fare 8 esposti ed 8 querele per violazione da parte della donna dell’accordo tra le parti e il provvedimento giudiziale stesso.

Nell’ultima udienza di novembre scorso il giudice ha minacciato di togliere i bambini ad entrambi i genitori, senza dar peso a quelle denunce, senza pensare alla sofferenza di due bambini ma soprattutto senza conoscere il livello di accudimento dei due genitori, in forte conflittualità semplicemente perché ostacolata la giusta e sacrosanta bigenitorialità.

Il giudice ha cominciato ad urlare come un pazzo dicendo che l’ordinanza presidenziale è legge. Lui è la legge. E che degli accordi tra genitori (fatti per il benessere dei bambini) lui non ne tiene conto!

Questa è la giustizia italiana. Questa è la magistratura italiana. Un mondo in cui si parla di tutele per i bambini ma che poi in fondo trattano i conflitti genitoriali come pratiche da archiviare e calpestando i sentimenti e l’affetto di piccoli indifesi.

Oggi la mia vita è ripartita: accompagnato da una donna di principi assai diversi. Una donna separata che ha scelto di tutelare i suoi due figli piuttosto che distruggere l’ex marito. Una donna che mi ha dato amore, una casa e serenità a me e i miei bambini, nel poco tempo che la loro madre “ci concede” di stare insieme.

Oggi il mio caso è all’attenzione degli assistenti sociali, gli unici che forse si stanno rendendo conto delle gravi “violenze psicologiche” subite dai bambini e dei vili tentativi di questa donna di distruggere quel che faticosamente sto cercando di ricreare.

Spero in un futuro di figli liberi e sereni con i loro papà. Liberi di condividere il loro tempo con entrambi i genitori.